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fondazione – Fondazione Gianfranco Ferré

Il Politecnico di Milano e la Fondazione Gianfranco Ferré presentano il nuovo Centro di Ricerca Gianfranco Ferré che nasce contestualmente alla donazione, da parte della famiglia Ferré, dell’archivio e della sede della Fondazione al Politecnico di Milano.

Documenti, disegni, abiti, accessori e oggetti raccolti da Fondazione restituiscono in modo ricco l’eredità del pensiero e dell’opera di Ferré, laureatosi nell’Ateneo nel 1969, e il suo radicamento nella cultura progettuale politecnica. E rappresentano un giacimento unico su cui innestare nuovi filoni di ricerca.

Il Centro di Ricerca nasce con l’obiettivo di promuovere l’innovazione digitale delle industrie creative e culturali, coniugando il know-how tecnico-scientifico dell’Ateneo con il patrimonio materiale e immateriale relativo alla storia, alla cultura e alle tecniche della moda conservato e valorizzato dalla Fondazione Gianfranco Ferré.

da1981ai

Pensando che nella moda “la fantasia non è più quella di un tempo” (che cosa c’è di inedito? di non dejà 2vu? di rivoluzionario?) e che l’inverno va visto come un fatto più compiuto, meno tra-là-là, comunque da vivere “vestite”, Gianfranco Ferré ha scelto come obiettivi della sua nuova collezione la linearità, la pulizia, la costruzione, il gioco dei volumi, rifiutando tutto ciò che ha l’aria casuale e abbandonata, ricercando un’immagine che faccia a meno dell’ “accessorio surplus”.

E allora, ecco la scelta dei tessuti e dei materiali senza equivoci e mollezze: corposi panni doppi da sartoria rifiniti di gros, harris tweed o tweed pepe e sale, pesanti jersey ad effetto “melton”, cotone gommato per gli impermeabili, nappa imbottita e “borego” per i blousons, doppi crêpe a effetto interlock per la sera, rustici loden accostati alla pelle.

E poi, ecco la predilezione per i colori “metropolitani”: grigi velati e nebbiosi, grigi scuri e fumosi, una gamma di blu che ricordano l’Oriente (China, indaco, copiativo), tanti colpi di rosso deciso e sicuro, e naturalmente, il nero.

E dunque, ecco la scelta delle linee nette, senza mezzi termini: le giacche lunghe con le allacciature nascoste e i colli a listone in forma impunturati, i caban senza collo con effetto di doppia manica, la serie di “vareuses” sportivissime, gli spolverini impermeabili, i mantelli a vestaglia lunghi al polpaccio, contrapposti a cappotti lineari in morbido velours che si arrestano sopra al ginocchio, le sottane decisamente lunghe diritte e spaccate, che talora nascondono effetti di doppio che rispondono a criteri funzionali i pantaloni senza pinces in vita che acquistano rotondità al ginocchio, i “vestiti-coulotte”.

E ancora, ecco la decisione di “legare tutto” con fili conduttori come le impunture, certi tagli e accorgimenti presi a prestito dalla “civiltà del chimono”: motivo ricorrente è l”’obi”, di maglia e pelle sui capi da giorno, di paillettes su quelli da sera, dove enfatizzato, diventa talvolta corpino indossato su particolari pantaloni dal taglio triangolare, di faille, di grisaille di seta o velluto.


tessuti: AGNONA – BINI – BARGHENTI – CALEDON – CANEPA – DONDI JERSEY – ETRO – FALIERO SARTI – ITS ARTEA – JACKITEX – LESSONA – LORO PIANA – PIACENZA – SCHLAEPFER – TARONI – TASCO – TORELLO VIERA – VERGA – VERZOLETTO.

filati: FILATI PUCCI – LINEA PIU’.

Linea accessori: Gianfranco Ferré

Foulards prodotti e distribuiti da I PARALLELI

Calzature prodotte e distribuite da GUIDO PASQUALI

Borse prodotte e distribuite da REDWALL

Bijoux disegnati da GIANFRANCO FERRE’

Makeup “The professional” di OLGA TSCHECHOWA

da1987pe

Collezione Prêt-à-porter

“Sfidare con spirito nuovo … Il che significa servirsi della semplicità per farne uno strumento sottile di decoro, non aver soggezione di certe forme canoniche e rinnovarsi. Oppure trasformare in vivacità tutto ciò che per sua natura è formale, contrapponendo maliziosamente il femminile al maschile.

E’ il segreto di una collezione libera, costruita lavorando su ciò che più mi piace e che vedo come l’inizio, lo sbocco di una strada futura. Dove sempre più forte è il desiderio, tipico del prêt-à-porter, di colpire, sedurre, accattivare, ma esprimendosi con un linguaggio che in fondo non gli è tipico e che deriva dall’alta moda: l’educazione alle proporzioni.”

Gianfranco Ferré

Riflettendo in merito alla collezione. Sentirsi a proprio agio nel tailleur senza maniche, con la giacca maschile decorata a stampe vistose e grafismi evidenti, sul pantalone in fresco di lana grigia. Apprezzare il comfort di un tailleur che contraddice il formalismo di un tessuto maschile, il fresco di lana, trasformando la giacca in un doppio gilet ben sostenuto: uno di picchè bianco, l’altro di tessuto. Estenuare la giacca virile, sciolta e svasata verso il fondo, con le preziose drapperie di seta, il nero del raso e il candore del piquet. Portando la collana a chicchi giganti di legno come un uomo porta la cravatta. Perdersi in grandi abiti diritti come pullover, con lo scollo a V o a giro, segnatissimi sul dietro, abbondanti davanti per un effetto di rimborso basso che crea tasche naturali.

Discorrendo di elementi già noti del vestire. Impadronirsi del colletto di una camicia maschile, ingigantirlo e farlo diventare una blusa sbracciata. Impossessarsi di forme conosciute come il trench, ma colorarlo di rosso, su pantaloni e giacca rossi. Oppure sostituire la camicia con il gilet, corto o lungo, e precisarlo con una giacca sfuggente sul dorso, esasperata dal colletto a risvolti giganti. Addolcire il giubbotto barracuda con la popeline di seta naturale.

Riportando a uno charme diverso il lessico canonico dell’abito. Muoversi noncurante nella t-shirt a righe bianca e nera, ornata da un colletto alto e laccato. Apprezzare la scioltezza dei blazer informali come cardigan. Rilassarsi nella camicia morbida dalla matrice sorprendente: la sciarpa maschile di seta (come la maglia, sviluppata intorno alla sciarpa classica écru). Stupirsi del piccolo abito aggressivo in mohair di seta e lana, diventato un lungo cardigan (sotto, il gilet di uguale lunghezza in piquet immacolato).

Affermando che la solidità delle necessità permette anche un senso di sana allegria. Scoprire un metodo nuovo di costruire l’abito, esasperando la gonna a vita alta e unendola al reggiseno, in modo che baleni un lampo di pelle nuda. Aprire al massimo i bottoni della giacca e della gonna. Osare la giacca stampata sulla sciarpa che sostituisce la blusa. Scegliere l’ufficialità dell’abito a cardigan lungo alla caviglia, chiuso da enormi bottoni d’oro, o dei tailleur-divisa bianchi, la giacca smisuratamente lunga e i polsi d’oro. Rinunciare al colore per il nero e il bianco. Oppure volerlo con forza, ma rispettando un principio di necessità: rosso, geranio, girasole, mastice. Con un gusto “puro e duro” per il decoro trompe-l’oeil di certe culture africane, riviste con occhio europeo. Ma ricordando che, nella nostra società, sono pure le materie industriali come la gomma, utilizzata infatti per costumi da bagno e top da spiaggia.

da1985ai

Prêt-à-porter Collection

” Ho cercato la decorazione… Non un’aggiunta gratuita, inutile, un barocchismo di maniera, ma il segnale di un’evoluzione dove ci fosse spazio per volumi e una fisicità nuovi.

Un atteggiamento diverso, insomma, che non si limitasse a cercare il funzionale, il pratico, l’utile, ma affrontasse questa idea proibita, questa zona in ombra della decorazione. Che ho interpretato esasperando certi schemi elementari e certi volumi: ho ingigantito il giubbotto con la coulisse e la giacca a sahariana, semplificato il pullover rendendolo una sciarpa avvolta intorno al busto e alle braccia, unito linee e aspetti opposti che però potessero convivere insieme, come insegnano certe culture orientali che mescolano l’essenzialità al gusto molteplice delle forme. Anche il colore risponde a questo concetto decorativo: il grigio – per me il nuovo neutro – si declina in sfumature più dense, con un senso plastico importante, e fa da sfondo a una gamma di toni puri. Il rosso, il turchese, il viola, il giallo… I colori della segnaletica urbana, della città industriale e paradossalmente, i più nobili, quelli di grande tradizione… I colori dei mandarini e degli imperatori giapponesi…. Perché ho voluto dimostrare, superando alcuni concetti estetici, che la forma è la sostanza e che uno stile può evolversi senza modificare”.

Gianfranco Ferré

Lessenziale. La silhouette disegnata dall’uniforme: il tailleur alla Mao di flanella grigia, aderente e sottile.

Il volume morbido. L’interno di mongolia nera e soffice per il cappotto di marocain dritto, chiuso perfettamente da un bordo orizzontale.

L’interno di mongolia nera e soffice per il cappotto di marocain dritto, chiuso perfettamente da un bordo orizzontale.

La neutralità. I pantaloni di bufalo a vita alta e non segnata (come le gonne) ma aderenti al corpo, e la sovra dimensione del giubbotto di melton.

I concetti contrapposti. Sull’uniforme grigia, i cappotti gonfi a colori puliti e vibranti, da lacca orientale.

Il nuovo vestito. Linea a scatola, svelta e scattante, con effetto giacca sul dorso, doppiato e chiuso dall’allacciatura.

Il taglio che dà ampiezza. Il giubbotto di alce strutturato attraverso nervature, e il dettaglio ’86: la sciarpa a volute astratte, sorretta da un gioco di nervature.

Il colore maturo. Rosso fino in fondo per il cappotto di panno pressato sfoderato e leggero, con tagli tondi che danno ricchezza allo slancio della schiena. O turchese fino in fondo per il cappotto di velour sull’abito-camicia da cui balena uno spicchio di gonna nera. O multicolore fino in fondo per i pullover a fasce contrastanti, lunghi e ampi.

Il pullover strutturato. Senso del volume, effetti di morbidezza e volute naturali, quasi delle spirali.

La sahariana gigante. Colori imprevisti e cashmere morbido raccolto dalla coulisse in fondo.

La forma sottolineata. La tuta in maglia di jersey a punto stoffa aderente al corpo per una soluzione inconsueta di tagli.

La plasticità. Lucidissimo su opaco: con il cappotto di montone laccato e la camicia confortevole in crêpe doppio dalla “mano” e dalla caduta pastosa. Gonfio su morbido: il taffetà impermeabile foderato di lupo, con un’ampiezza costruita attraverso pieghe e coulisse.

L’illusione. Camicetta di velluto stampato a breitschwanz sui pantaloni larghi di lana multicolore.

Il comfort. Per sere private e abbandoni segreti, la gonna lunga a ruota di flanella grigia con il cardigan a tutta lunghezza. E le camicie in seta stampata, che si incrociano strettissime a sciarpa.

Sera, variazioni sullo stile. Dal tailleur elementare, con la giacca ricamata a spirali di perline e la sciarpa di gazar nero, all’abito-bustier con la voluta di duchesse, dal pullover nero colletto e polsi ricamati come nuovi gioielli – sui pantaloni di flanella grigia alla camicetta di organza trasparente con spirali di passamaneria, dalla camicia di duchesse rigata che sembra “strappata” sulla schiena ai tubi di marocain nero, punteggiati dalla sciarpa a volute rigide. Dodici modi “di essere Ferré”.

da1980ai

Collezione Prêt-à-porter

Per il prossimo inverno 1980 Gianfranco Ferré propone una immagine femminile assai scattante, nitida nelle linee e nei volumi, suggerita da aspetti molteplici. Contrapposti in modo naturale e spigliato, con un denominatore comune: “dimensione sport” sempre; persino nei momenti eleganti, con glamour, con un pizzico di ironia.

Rifuggendo da schematismi o riferimenti, anche il tema più classico è reso estremamente attuale e vivo, perché ogni capo vale per la sua praticità, per la sua facilità, per la sua funzione, e allora tanti, tanti pantaloni, e gonne ampie perché confortevoli o a tubo essenziali, impermeabili di telone e cappotti di cammello rigorosamente aderenti al corpo, e allora, anche per la sera, parka; ma con l’interno in lamé o pantaloni e abiti a cappotto, assolutamente lineari, ma con scollatura e allacciatura sul dorso.

Nei materiali usati va sottolineata la qualità e l’attenta ricerca di nuove tecniche di lavorazione, per cui la swakara è trattato a tessuto, il gabardine è garzato all’interno per diventare più morbido, il pettinato di stampo maschile acquista lucentezza, il più classico dei tweed è illuminato da piccole scaglie d’oro, l’organza, gli jacquard, il taffetà di seta sono sempre più preziosi. Prezioso e raffinato anche il gioco dei colori: i toni naturali del cammello e della vicuna, mischiati anche nelle loro più profonde gradazioni, possono essere ravvivate o da tonalità squillanti o dai bagliori dell’oro.

“Gianfranco Ferré: il rosso perfetto”, Alessandro Martinelli

L’autore di questo saggio è Alessandro Martinelli, un giovane docente di matematica in un liceo, molto amato dai suoi studenti.

Appassionato di Moda, appassionato di Arte… la sua curiosità intellettuale non ha limiti e lo porta ad approfondire gli argomenti con collegamenti e contaminazioni, di facile ma avvincente lettura.

“Gianfranco Ferré: il rosso perfetto”

ua2004pe

Collezione Prêt-à-porter

“Ho un obiettivo dichiarato e costante: definire e declinare un’eleganza distinta, fatta di nitore, di pulizia e di una sana precisione, secondo le forme di una mascolinità moderna, che si muove negli orizzonti dell’uniforme. O meglio, delle uniformi, quelle del lavoro innanzitutto, con la loro funzionale scioltezza. Nulla di irrigidito, costrittivo, troppo formale. E’ per questo che ho disegnato una nuova silhouette con spalle non costruite ma volutamente e agilmente anatomiche, linee asciutte e smilze, che diventano un bel po’ più ampie nei pantaloni, giusto per dare comodità. Ne deriva uno stile solido e virile, che io interpreto come un modo di essere: mai sopra le righe, mai oltre i limiti, mai ostentato e perciò naturalmente donante, equilibrato, autentico.

Per dare vita e scandire questo atteggiamento pacato e impeccabile, sono partito da un gamma di materiali e di colori dalla rassicurante raffinatezza. La lana cruda dei caban di un blu opaco e fondo, che rimandano ad una tranquilla vita da barca, ad una crociera tra Mare del Nord e Baltico, tra Sylt e Travemünde. La gabardine cinese molto battuta, sempre blu, oppure nera. Ancora il blu e il nero del cotone tinto in filo per polo e sweaters. La tela, tra avorio e crema, della divisa da muratore. Il denim ipernaturale del jeans indaco sotto la maglia lavorata a fettucce. Il taffettà nero del giubbino-k-way. Il tessuto light gessato, da camicia, del completo dall’àplomb singolare. La seta ed il lino delle camicie bianche, con il collo stondato e allungato a coda di rondine.

Ho fatto in modo che anche le variazioni alchemiche della materia, l’architettura dei capi, i segni speciali rispondessero ad una logica di rilassata ricercatezza, direi persino di gentilezza. La pelle dei giubbotti ha il peso e la duttilità di quella dei guanti e proprio ai guanti i giubbotti rubano un po’ anche la costruzione, con le nervature, le cuciture, le impunture che li percorrono per il lungo. Le maglie sono sottili, sembrano fatte per essere piegate senza dare ingombro e, in effetti, se si piegano, quasi non hanno volume. In certi casi, sono in filo di Scozia, quello dei calzini, aperti e giuntati tra loro. Nelle cravatte in maglia di seta beige e nero o bianco e nero – da portare allentate – ma anche nelle giacche stampate in marocain e nei completi i grafismi rivelano un rigore nobile, di ascendenza importante, quasi colta, che applica i principi delle Wiener Werkstätten. La lezione sublime e modernissima di Adolf Loos, Josef Hoffmann, Kolo Moser. Minutamente preziosi, i ricami, gli intarsi, i motivi a farfalle esotiche o a campanule decorano le camicie in versione sera: sempre ed assolutamente candide, da abbinare al pantalone non meno candido, preferito perché più anticonvenzionale di quello nero da smoking.

Solidità, leggerezza, eccentricità: nel guardaroba del mio educato e riservato gentleman definiscono – è quasi superfluo precisarlo – anche gli accessori. Come i mocassini: ultraflessibili, bicolori, magari in stoffa lavorata a jacquard, con la suola di bufalo…”

Gianfranco Ferré

ua2003pe

Collezione Prêt-à-porter

“Da sempre, mi avvicino allo stile maschile con un approccio che non esiterei a definire di educazione al vestire. Il che significa, certamente, rispetto delle regole, indicazione di norme, applicazione di codici, ma che oggi, soprattutto, traduce un modo naturale di essere, un senso profondo di agio che sottolinea una propensione decisa alla discrezione ed al comfort.

In questo mio nuovo progetto di pacatezza e misura si esprime al massimo grado un’immutata logica di eccellenza che trova il suo lessico più evidente nella qualità assoluta delle materie. A partire da lino e seta, che ho voluto di mano corposa e naturalmente meno sofisticata, sfruttando la trama grossa e in rilievo per accrescere la scioltezza e la fluidità dei capi. Mentre per la lana ho scelto varianti prossime all’assenza di gravità per trasformarla in un autentico tessuto da estate. E per la pelle, versioni particolarmente duttili e prestanti.

In un gioco di assonanze del tutto spontaneo, ho calibrato le forme sulle caratteristiche intrinseche della materia. Ho tradotto le aderenze nette soltanto in materiali elastici, addirittura ultra-elastici, che segnano il corpo più per un bisogno di tonicità e di agilità che non per una volontà di ostentazione. All’opposto, i tessuti a trama allentata – che mi piace definire laschi – mi hanno permesso di concepire fogge più strutturate, anche se mai sovradimensionate e sempre nitide. Con la garanzia di un aplomb sartoriale, preciso e facile, evidente nel completo formale, da portare, ovviamente, con la cravatta.

Altrettanto logica, anche se per nulla ovvia, è la scansione dei colori, che mi ha portato a privilegiare tonalità intense, intenzionalmente conservative, molto maschili: testa di moro, blu marine, brique che, a sorpresa, si oppone al grigio nell’abbinamento giacca-pantalone. Anche il rosso, quando c’è, rivela una profondità speciale. Quasi per reazione, ho trovato necessario attenuare questa densità con squarci di chiarore, forti e delicati insieme. Così, per accrescere la freschezza del summer suit, ho sfumato il bianco nelle più naturali gradazioni del crema, conservandolo invece in tutta la sua luminosità nelle camicie da sera in organza di cotone intagliate ad a-jour e nei tuxedo candidi.

In un percorso più istintivo che ragionato di sintonie e rimandi, ho interpretato nel segno dell’immediatezza tutti gli elementi e le tipologie del guardaroba, sino agli accessori, prestando la consueta attenzione al piacere dell’unicità e della novità. La maglieria offre la discrezione raffinata di polo e T-shirt in seta e seta-cachemire, ultra-easy e ultra-light, come se fossero nate per vivere sotto la giacca. Le scarpe sono rigorosamente stringate, ma non danno il minimo senso di costrizione, perché sono sfoderate, appoggiate su una suola pressoché priva di spessore, bicolori. Gli occhiali – appena nati, ipertecnologici, esclusivi – sono in magnesio, un materiale che ha il peso di una piuma, è completamente anallergico, non inquina… Perché il benessere è una componente essenziale di questa nuova, sostenibilissima leggerezza dell’essere. Che mi sembra applicare, in qualche modo, una delle più belle regole di Mies van der Rohe: “Vogliamo restare con i piedi ben saldi per terra, ma avere la testa tra le stelle “.

Gianfranco Ferré

ua2003ai

Collezione Prêt-à-porter

“Incantato dall’idea dell’inverno, mi sono lasciato conquistare da immagini e storie di alta quota, di sfide, di vette e ghiacciai. Con l’intenzione di riportare alle casistiche da città certe fogge e soluzioni, certi segni di energia ed immediatezza tipici del vestire delle realtà dal clima aspro. Così, ho avvicinato idealmente luoghi lontani sulla carta geografica d’Europa. Pensando ai Pirenei, ho disegnato grandi cappotti trapuntati all’esterno, o paltò in pelliccia ruvida, né nappata né doppiata, tinta in kaki o in verde scuro. Immaginando un viaggio nelle Alpi, ho abbinato la giacca rilassata e chic di panno cotto – bianca o nera, da portare con la sciarpa candida – al pantalone, che è preciso oppure, all’opposto, risulta enfatizzato, anche per la pratica capienza delle tasche. Mentre i pullover sembrano tricottati a mano, oppure sono ricamati, fatti in una lana-stuoia dall’aspetto vissuto, aderenti sotto le giacche e i cappotti, o invece abbondanti e diritti come gli ski-sweaters di un tempo…

Il risultato è una collezione sensata ed equilibrata, che lascia trasparire con immediatezza le ragioni per cui il guardaroba maschile è fatto di certi capi e di necessità precise. Prima tra tutte quella di declinare anche le tipologie più classiche del vestire urbano con la scioltezza di uno spirito sportivo. Un’intenzione di facilità che ho applicato, per esempio, al chesterfield, destrutturandolo senza per questo annullarne l’àplomb, riscaldandolo con l’interno di visone rasato a prova di grande gelo…

Questa ricerca di morbida disinvoltura mi ha portato a rileggere certi rapporti, ad evitare assonanze scontate tra abito e corpo. Se il capo è sportivo, non è detto che debba essere aderente: al contrario, può acquistare volume e dimensione, come il caban di nylon imbottito da pieno inverno, che conserva la struttura squadrata del montgomery, anche se è tagliato sopra la coscia. Mentre la giacca e il completo formali – in tessuti decisamente maschili: flanelle, gessati, lane spinate e diagonali – sono accostati alla figura e la segnano con agilità perché hanno le spalle piccole e insellate, le forme carenate sul torace, la vita assottigliata. Rivelando interventi ed accortezze di puro sapore sartoriale…

C’è una volontà di solidità e di pacatezza che si mostra anche nei colori: oltre al bianco – che ritengo una tinta ricercata – e al nero, il greggio, il verde pino, l’antracite, con colpi e guizzi squillanti di turchese o rosso lacca che ricordano le decorazioni degli alpenstock. Sono solide, se pur di linea affusolata, anche le scarpe, con la suola alta e corposa ma non grossolana, in cuoio e microfibra, per dare stabilità e isolare dal freddo…

Ed è sensato ed equilibrato anche lo spirito del vestire da sera. Perfetto perché elementare: un cardigan nero in cachemire, sciolto e ipermorbido, sopra il gilet di piquet e la camicia immacolata…”

Gianfranco Ferré

ua2000pe

Collezione Prêt-à-porter

“… Maturata consapevolezza di un modo libero di essere, di vivere con il proprio corpo, di plasmarlo per essere dinamici, energici, veloci quanto la realtà richiede. Così, all’elasticità e alla scioltezza che ogni attività motoria comporta deve adeguarsi tutto ciò che si indossa…

Disegnando questa collezione, ho voluto dedicare un’attenzione particolare alla costruzione anatomica del corpo umano, che per naturale trasformazione si sta allungando e affinando. Ho studiato e considerato la precisione plastica dei fasci muscolari, seguendone l’andamento con tagli e forme che enfatizzano la struttura, resa più stilizzata dall’uso di jersey e tessuti stretch…

Tesa e compatta, la linea sembra prendere velocità, con i pantaloni lunghi e snelli che mettono in evidenza i muscoli delle gambe. Con la giacca scolpita, che appoggia solida sulle spalle ma scivola sul torace, come potrebbe fare un capo molto più vicino alla pelle. Capace, pur nel rigore formale, di perdere i bottoni per infilarla e sfilarla più velocemente…

Tutta la figura appare ridimensionata: più forte, più solida, più slanciata. Sensuale in una maniera insolita, che rimanda alle immagini asciutte e snelle degli eroi dei primi, epici western movies, da “The Great Train Robbery” a “The Gun Fighter”…”.

Gianfranco Ferré

Nuovi punti d’attrazione. Camicie e golf senza bottoni, con lacci per chiudere e stringere. Polsini della giacca lunghi il doppio del normale, ma rigirati e fissati per dare l’impressione che non tutto sia perfettamente rifinito, calibrato, consueto. Jeans con tagli anatomici che accompagnano il corpo e seguono il gioco dei muscoli.

Nuove logiche della qualità. Pelle spessa, conciata su entrambi i lati, traforata e intrecciata a patchwork, oppure doppiata di seta per favorire la vestibilità. Taffetà solcato da fili di metallo, che lo increspano leggermente. Seta in tulle le declinazioni, dal faille della giacca arricciata dagli strozzatori al tussah dell’impermeabile che diventa quasi un burnus. Lino alleggerito e cascante per lo spolverino-redingote.

Nuovo gusto del dettaglio. Maglieria tubolare senza cuciture (lo stesso metodo usato per l’underwear), ma con zip sottilissime e invisibili, dalle quali appare il corpo. Mocassini affusolati che diventano pantofola, da portare con o senza calze.

Nuovo senso del colore. Marrone più scuro dell’ebano. Stemperato dai toni ambrati, aranciati, immersi nel miele, addolciti dalla luce.

ua1997pe

Collezione Prêt-à-porter

“Se dovessi definire questa collezione, direi che è pervasa da un senso cosciente di libertà e da una volontà decisa di virilità. Ma senza cadere nell’eccesso, senza esasperare… Tutto è osservato con lo sguardo di chi si appropria, con autonomia, di formule, codici, forme estetiche dalla forte impronta mediterranea, che arriva a sconfinare con il Nord Africa, letto ed esplorato con l’intelligenza un po’ dissacrante e molto occidentale di Paul Bowles. Nessuna strizzata d’occhio all’esotismo, al marocchino o al berbero. Mi piace però sottolineare la parola Mediterraneo perché contiene una certa dolcezza, una saggia semplicità, una tranquillità che ci appartengono. Per senso di civiltà e per volontà di essere civili, sfuggendo all’asfissia di un solo passato, una sola tribù, una sola cultura, il cui effetto è, per paradosso, la mancanza di cultura…”

Gianfranco Ferré

C’è un senso appropriato e naturale del CORPO e della sua struttura, ma, al tempo stesso, un desiderio di libertà e un rifiuto di ogni costrizione, che privilegiano istintivamente le forme più ampie. Così, la giacca leggera è costruita sostenendo le spalle, segnate dalle spalline di misura giusta, e scendendo poi morbida intorno al bacino. I pantaloni sono larghi di gamba, ma si appoggiano sui fianchi, al contrario del genere baggy.

Superato il minimalismo, la ricerca di ELEMENTARIETA’ si esprime nella particolarità del tessuto, declinando in modo inedito materie come l’organzino anche per abiti, T-shirt, tute. Oppure ricorrendo a mischie in gabardine e seta con effetto cangiante, ma velato da un’ombra di opaco. O allo chambray di cotone, che permette di confermare formule diverse del vestire. Formule che rimandano a mille culture e che ora appartengono alle mille, nuove tribù del vivere di oggi: la camicia senza colletto, lo spolverino che veste come una camicia da lavoro o una giacca allungata, la giacca-camicia in crêpe di lana leggerissimo e svuotato, con la tasca interna e una linea sciolta, morbida.

Il principio del COMFORT è alla base di un guardaroba che offre anche shorts, scarpe dalla suola di bufalo e gomma, pullover che sembrano tinti e sporcati a mano, camicie di tela lavata. Perfino la preziosa seta viene spazzolata perché diventi simile alla ciniglia.

Si sommano gamme di COLORI mediterranei, densi e scuri: terra, muri, rocce. Di colori chiari: grigi sabbiati, bianco alba. Di azzurri slavati, come cieli al mattino presto.

Nell’orizzonte JEANS si colgono segni forti di novità: l’utilizzo dello chambray, laccato, leggerissimo e mescolato a un filo di taffettà per le camicie, e soprattutto l’uso della canapa. Con questa fibra pura e vegetale, che è resistentissima all’usura ed ha in sé il concetto stesso di ecologia, Gianfranco Ferré ha realizzato jeans, camicie e giubbotti, lavati e rilavati perché la mano del tessuto diventi morbida e vissuta. Senza tingerli, per mantenerne il colore naturale.

ua1994ai

Collezione Prêt-à-porter

“Ripensare alle radici, riflettere sulle origini di un guardaroba che trova il suo modello e la sua scansione nelle fogge d’inizio secolo, dopo la rivoluzione industriale…

Immergersi in un clima solido e sobrio, vibrante di energia, come lo descrisse Thomas Mann: “sagome stranamente austere, un ancestrale susseguirsi di cimase, torrette, portici, fontane, il morso del vento, del vento forte” (dal Tonio Kröger).

Risentire il freddo intenso e pungente dei ghiacci in un’atmosfera che ricorda le eroiche spedizioni polari, da Roald Amundsen a Shackleton.

Ritrovare l’asciuttezza severa del Nord, delle coste baltiche, dell’Inghilterra. L’eleganza determinata e virile degli uomini che costruirono l’industria moderna.

Così, nella collezione, ho lasciato i colori forti per sfumature di toni seppiati, neutri, bluastri da vecchia fotografia, da documento d’archivio. Ho a lungo lavorato sulla giacca per restituirle una forma sempre abbottonata verso l’alto, che dà una conformazione diversa alla figura.

“Ho talvolta sostituito il blusotto di nylon con la giacca sport dai tessuti corposi e dalle tasche a sottilissimi soffietti. Perché ritengo che abbia perso senso parlare di sportswear come di un modo alternativo di vestire, un segno della differenza tra vita formale e informale. Oggi, determinato il proprio abbigliamento – con giacca più molle, destrutturata e pantaloni più confortevoli lo si modula sulla città e sulla campagna. Come una dimostrazione di coerenza”

Gianfranco Ferré

IL GILET

Alternativa formale alla giacca, declinato secondo scelte e ricerche estetiche, al limite quasi narcisistiche. Gilet con rever, risvolti a scialle, stretto e lungo con richiami al primo Novecento. Di gros-grain e grain de poudre fine Ottocento. Sposato a camicie dalle righe ampie, a tessuti gessati quasi da tight o da clergyman.

LA MAGLIA E L’EFFETTO MAGLIA

Calorosa consistenza dei tessuti che giocano con un effetto di doppia tramatura: chevron, cheviot, in due toni di flanella mélange. Tessuti mossi: dalle crepelle con lavorazione cotelé, slegata, che ricorda il tricot a un’inedita mescolanza di cotone e maglia. Fino ad arrivare ai pantaloni di maglia a coste, che donano un aspetto sciolto e decostruito al vestito nero. Voluminosi filati jaspé per spolverini, caban e pullover mélange.

IL VESTITO DI FLANELLA GRIGIA

Sobrio come una divisa sotto i cappotti in spazzolino di lana e nylon, a effetto teddy-bear. Segno contrapposto di ordine e disordine. L’ordine delle fogge conservative, con giacche piuttosto chiuse che quasi nascondono la camicia e colletti volutamente alti, diritti. Non sempre completati dalla cravatta.

Il disordine che ai colletti bianchi sostituisce una formula liberatoria e cosciente del vestire. Come la t-shirt bianca o nera.

LA CAMICIA BIANCA

Formula aggiornata del comfort di sempre. In flanella, cotone grattato, parpaiana, solida e robusta, la camicia bianca si porta in relax con pantaloni di pelle, velluto, flanella grossa. Sofisticata la ricerca sul colletto, che può essere a solino, amovibile secondo la tradizione ottocentesca, trapuntato.

IL CAPPOTTO DI CAMMELLO

Caposaldo della tradizione, certezza del guardaroba maschile, simbolo di rispettabile solidità… Ma le fogge classiche sono completamente destrutturate, sovrapposte l’una sull’altra, nascoste da impermeabili verde esercito o di un intenso color cachi, come i jeans e i pantaloni da lavoro che li completano.

Trasformato in interno e amovibile, il paltò di cammello riscalda il trench militare di tessuto oleato e lavato; oppure diventa quasi una vestaglia, da portare sulla salopette, con la t-shirt bianca o con la camicia di cotone trapunto. O doppia l’impermeabile, lungo e guarnito di zip, o un altro cappotto piuttosto strizzato in vita, con martingala.

LO SPIRITO DELL’UNIFORME

Ispirata alla giacca prussiana da caserma, alle prime divise delle industrie siderurgiche tedesche, ad un’ammirevole sobrietà, la giacca ritrova la sua foggia più romantica. Di tessuto o velluto grattato, chiusa fino al collo per sostituire la camicia, nelle sfumature del verde e del blu. Sono giacche che bastano a se stesse, riprendendo il concetto dell’uniforme come abbigliamento per tutte le funzioni: una risposta costante a domande diverse.

Riprendendo la formula del Sakko tirolese, ecco le giacche senza colletto, da contadino, in tessuti corposi. Ecco i giacconi di forma elementare e i montgomery di stoffe insolite e lane spesse. Da portare con i jeans confezionati al contrario per mostrare una mano ruvida.

Ecco i gessati di velluto e crepella garzata nei toni nordici che sfumano tra il grigio, il blu e il marrone. Giacche diritte o stondate, per indossare anche il vestito formale con atteggiamenti disinvolti e liberati.

LA SERA

Esercizio di eleganza intorno al non-colore – il nero come uniforme – e a un personale, bisogno di libertà. Soddisfacendo queste due necessità, si possono individuare soluzioni sorprendenti, idee inaspettate. Come unire il cappotto trapuntato ai jeans di pelle e alla t-shirt bianca. Sostituire la camicia con una sciarpa. Cambiare la giacca: allungata, senza colletto, trapuntata, matelassé, doppiata. Alternarla con pullover, cardigan o quanto risponde – in quel momento, in quel luogo – alla nostra necessità.

IL GUSTO DEGLI ACCESSORI

Se le scarpe connotano il decoro, le fogge siano accurate, precise. Alla dandy, allungate, squadrate, con suole triple di cuoio. Formali e lucide come certe scarpe da clero. Consistenti e solide, tipo pantofola, con la tomaia di pelli già doppiate e suola di gomma, para, carro armato di fibra. Cinture molto spesse a strisce di rettili diversi, in colori fangosi e nebbiosi. Uso ponderato della cravatta: quando c’é, é importante come una sciarpa e richiama i tessuti di giacche e camicie. Oppure si snoda sottile e agile e pare sottolineare solo l’andamento del colletto.

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Collezione Prêt-à-porter

Sfogliando i libri di Jules Verne. Rileggendo Robinson Crusoe “Quando mi svegliai era giorno fatto, l’aria serena e lo tempesta diminuita tanto che il mare non era più così grosso e furioso. Ma ciò che mi sorprese di più fu il vedere che la marea, salendo…” Ripensando alle meraviglie del Nautilus, tra fantasia, memoria, nostalgia scaturisce il viaggio del capitano Nemo nei mondi sommersi ed emersi…

“Mi affascina la tecnologia della muta subacquea. Il massimo della tecnica per muoversi con il massimo della naturalezza”, spiega Gianfranco Ferré. “Seguendo questa intuizione, ho provato a frugare in un immaginario baule, tra uniformi del passato e strumenti avveniristici. Ho tuffato le divise in un blu che diventa nero e in un blu che si trasforma in turchese. Nell’acqua di mare che stria e schiarisce, nel salino che brucia. Tra reti, stemmi, gomma … Lasciando – per esempio – sulla treccia fisherman dei maglioni una patina opaca e impermeabile, ottenuta con la catramatura… Perché proseguo nella mia ricerca del naturale; nel senso di ciò che appartiene da sempre all’uomo: che sia frutto della natura o risultato di una trasformazione tecnologica”.

In questa atmosfera da moderno navigante alla Stevenson, la classica fibbia di metallo diventa di poliuretano. La rete di nylon filtra i colori elettrici ispirati alle attrezzature dei sub. La felpa blu da regata si scompone in un marsupio da legare in vita. La camicia a vento ha un cappuccio in popeline di seta che si può ripiegare e nascondere nella tasca. Caban e impermeabili sono trasformati dalla gommatura e dalla “talcatura”, un procedimento simile a quello usato prima di riporre la tuta per le immersioni.

All’opposto, fogge quasi volutamente stiff, impeccabili e corrette.

La camicia che sembra inamidata, il doppiopetto e la giacca formali, il bianco come puro, candido, lavato. I tessuti dolci dalla bella consistenza corposa: tussah, lino grosso, crêpe doppio, lino stramato. Le scarpe di cuoio con la doppia suola e le scarpe all’inglese. Ma anche comodità e comfort: le scarpe con la suola di gomma, il sandalo piatto, le espadrillas leggere.

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 18 giugno 1991)

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Collezione Prêt-à-porter

“Un mondo interiore di cultura e di abitudini si trasforma in un’elementare semplicità, dove si leggono i segni della storia dell’uomo… Il senso del viaggio – per le città e in campagne molto civilizzate – accentua la voglia di compiaciuto clan: gli amici tra di loro, le affinità di gusto e di emozioni che non equivalgono necessariamente al modo di essere… Le diversità accostate, vivendo consapevolmente origini, tradizioni e futuro. Perché il pianeta dell’uomo è così complesso che, per ritrovare la strada, servono una radice, una necessità…

Al bisogno inespresso di duttilità e scioltezza, ho risposto con le giacche anche senza colletto, comode come maglioni. Con tweed e scozzesi corposi, con mischie di seta e cashmere grattato, con tessuti a doppia frontura dolci al tatto e ispidi alla vista…

Tutta la collezione appare sotto il segno del dualismo: la ciniglia di seta è gonfia ma leggerissima, il capo di pelle con la fodera trapunta sembra voluminoso ma indosso non ha peso…

Nei colori di sempre: grigio chiaro, asfalto, foglia mescolata al cammello. Nei toni araldici, da stemma: giallo, blu Francia, rosso stendardo…”

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 3 gennaio 1992)

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Collezione Prêt-à-porter

“La moda maschile per me è una questione di metodo. Una proposta nei confronti della tradizione e della qualità, che rifiuta la ricerca affannosa dell’idea di moda per affrontare quella – ampia e generale, in un certo senso assoluta – del vestire.

Così in ogni collezione tornano temi canonici, affiorano colori universali, si declinano un modo e un atteggiamento… Come parole nuove che compongono un linguaggio riconoscibile, uno stile costante”.

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 2 luglio 1990)

Umore contemplativo, memoria di estati tra il mare e la Provenza, una colta bucolicità. Abiti rilassati, che assecondano la necessità di un comportamento spontaneo, immediato.

Tessuti leggerissimi spesso forati, aerati. Tulli elastici per sahariane attrezzate, con tasche che si espandono per contenere oggetti. Lini greggi e teloni sulla cui oliatura ogni piega naturale diventa una traccia. Oxford di cotone e seta utilizzati anche per la giacca fil-à-fil come le camicie. Toile de Jouy, stampata su uno sfondo fil-à-fil.

Accenni agli sport – baseball. ciclismo, tennis, podismo – praticati al momento, per il piacere tutto fisico del gesto.

Colori eterni: il bianco, il grigio foschia del mattino, gli azzurri e i blu del Mediterraneo.

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Collezione Prêt-à-porter

“E’ un guardaroba canonico, quello che ho preparato. Una serie costante che é arrivata ormai a una classificazione… Perché ho ridefinito il tema della sartorialità attraverso regole fissate nel tempo della tradizione Ferré, ma sono andato oltre, perfezionando il concetto della scioltezza, della destrutturazione… C’é anche un deliberato tocco eccentrico, che rifugge dalle categorie con cui ìn genere viene definito … Più che snobismo, direi che si tratta di una risistemazione mentale di ciò che da sempre esiste nell’abbigliamento…”

(Appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 2 gennaio 1989)

INTORNO ALLA TRADIZIONE

Gli abiti etichettati SARTORIAL: con le proporzioni precise, determinate, e i drop dalla vestibilità accurata che offre il pret-à-porter. Ma con rifiniture in gran parte manuali e tessuti importanti: cashmere, camel-hair, alpaca. I capi double, secondo quel gusto moderno di mescolare anime diverse: come i misti cashmere, lavati perché siano più sciolti, e i tessuti crêpe, sinonimo di mano leggera e svelta da indossare.

ALL’ORIGINE DELLA LINEA

Capi morbidi e insieme corposi, senza rigidità alcuna. Recupero del comfort spartano e rustico connaturato agli harris, ai mélange irregolari, ai mohair garzati. Ma rinvigorito con un certo spirito di uniforme, fatto di flanelle e melton dal fumo all’antracite, di vyelle e harris grigio. Rivoluzione russa. Una sfumatura sull’altra, interpretando quel senso dell’eleganza rilassata tipico degli inglesi che hanno viaggiato molto.

MESCOLANDO NOTE IMPREVISTE

Allusioni all’Anatolia e ai tappeti persiani nel tricot fuso e mescolato; nel patchwork dai toni rugginosi, come vecchi bauli, kilim arrotolati da generazioni, rilegature antiche di libri. Rigore nostalgico delle camicie da sera di voile. O di crêpe di seta (davanti) e cotone sulla schiena. O di crêpe de chine plissettato, sostenuto (dietro) dalla vyella.

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Collezione Prêt-à-porter

“Ho voglia di spirito agonistico, di senso della sfida… Agonismo come recupero di certe forme più vicine al corpo, certi rinforzi alle maniche, i sostegni tipici dello sport sulla schiena o dovesi forzano i muscoli… Sfida nel riproporre il grigio d’estate, il bianco, i colori netti degli stendardi. Ma sempre con una ricerca di nobiltà, un fondo di classicismo che per me significa tradizione. Dentro la quale, ormai, c’è una lunghezza d’onda, una metrica evidente di ciò che piace nella collezione: la cravatta a pois, o sgargiante, o principe di galles tinto in filo. La giacca blu – magari più corposa – il trench beige – magari in popeline di seta impermeabile – il gessato, il vestito di gabardine. Quello a cui non si può rinunciare, o che non si vuole dimenticare, o di cui si ha bisogno… “

(da una conversazione con Gianfranco Ferré dell’ 1/7/86)

Di nuovo vigore. Giubbotti ridotti all’essenziale, di popeline rinforzato con la fodera: da infilare anche a camicia nei pantaloni. Pantaloni classici, ridimensionati nei volumi. Il braccio “corazzato” dello sportivo, con rinforzi di pelle.

Di nuovo comfort. Forme comode perchè non abbondanti. Maniche accostate. Spalle decise ma ridotte: anche sette, otto centimetri meno. Tessuti che si moltiplicano: pelle su pelle, cotone su cotone, doppio tricot, da una parte seta dall’altra cotone garzato non ritorto. Capi doppiati in Bemberg da fodera, prelavato.

Di nuovo un codice. Il doppiopetto segnato a sei bottoni. Il bermuda e il pantalone lungo di piquet a nido d’ape bianco. La camicia con il colletto sostenuto dalle stecche, che si possono anche sfilare per ottenere una piega naturale. La cravatta grafica: a disegni in stile, ingigantiti o ridotti, su una seta che sembra raso. Le scarpe con la suola flessibile a tre strati di bufalo. I mocassini lussuosi di coccodrillo.

Di nuovo freschezza. Il blazer bianco di cotone per la sera, su camicie con il davanti realizzato nell’identico tessuto della giacca. Giacca da smoking di pelle sopra la polo di pelle. Giacca di popeline di seta come la camicia e i pantaloni in fresco di lana.

Di nuovo colore. I verdi e i rossi battaglieri, ispirati a un vecchio album fotografico dei giochi olimpici. I grigi, dal piombo al rondine. Il bianco. Una sfumatura ammaccata di nero.

Casistica aggiornata della tradizione Ferré. I tessuti aerati, ma questa volta ottenuti con il mohair, o con fibre a doppia, tripla frontura. La seta mista a lana e il fresco di lana. Lo shantung e il popeline di seta. Il tussah. Un effetto di pulizia ottenuto grazie alla calandratura dei lini, un procedimento che dà una specie di “mano” lucida e pastosa.

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Collezione Prêt-à-porter

“Ho seguito le mie sensazioni. Un filo segreto che unisce un’emozione all’altra e ha la logica del gusto, più che della ragione. Così affiorano, in questa collezione, sentimenti in qualche modo affini: il morbido, il nitido, una freschezza che è interiore prima di essere esteriore. Una lievità che si traduce a volte nella forma, a volte nel tessuto… Restano fermi i valori classici dell’abbigliamento maschile come punti indiscutibili di un’educazione, ma senza schemi e categorie. Perché i modi di vestire sono tanti e alla mia libertà di creatore corrisponde la libertà del gesto …”

(conversando con Gianfranco Ferrè , il 30 giugno 1987)

Le certezze della “sartorialità”, anche nel vestito leggero senza peso, nello spolverino di gabardine, nell’impermeabile di crêpe. Della camicia bianca, rosa, azzurra sul neutro dei pantaloni e delle giacche.

La praticità dei tessuti aerati. Delle giacche reversibili, dove l’interno più attrezzato equivale all’esterno più tradizionale. Delle giacche destrutturate sino ad essere svuotate nelle spalle. Della sahariana all’inglese, ma rielaborata e alleggerita.

La determinazione del coloniale in tutte le sue sfumature, fino a diventare un’astrazione, un non-colore. Dei tocchi forti come il rosso vivo e il blu royal. Della giacca di popeline fil-à-fil rosa sul beige. Del cotone e del lino puri, che rifiutano mischie e materiali avveniristici.

L’indipendenza del gusto, che protegge dall’uniformità della moda. E si manifesta scegliendo il comfort di scarpe morbide dalla pelle opaca oppure la classicità di quelle ultralucide e ultracostruite. La cintura di foca e di camoscio molle. Le cravatte a disegni tra cashmere e liberty, ma dai toni velati. Rifinite come tradizione comanda: senza fodera e con il sistema delle sette pieghe.

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Collezione Prêt-à-porter

“Se devo tracciare un bilancio, mi sento di dire che le forme di snobismo narcisistico dell’uomo sono ormai superate e che le espressioni del vestire odierno raccontano invece modi di essere, di presentarsi e di atteggiarsi. Parlano di canoni e regole che per me è normale e interessante rileggere stagione dopo stagione. Per questo, ho ricalibrato le forme e le proporzioni di giacche e cappotti, destrutturandone le spalle, alzandone il punto vita, rendendoli più asciutti e anatomicamente vicini al corpo. Senza esagerare, ho abbassato il cavallo del pantalone per accentuare la scioltezza della figura. Nelle camicie ho accresciuto l’importanza del colletto, che risulta svettante, con i bottoni posizionati verso l’alto affinché, quando c’è, enfatizzino la cravatta. Nei pullover ho sottolineato il bisogno di aderenza e di elasticità. Con un’intenzione deliberata di soluzioni pratiche, ho evitato lunghezze eccessive, fermando l’orlo dei paltò al ginocchio.

Questi piccoli-grandi interventi di precisione e di comfort scandiscono per intero la collezione, lasciando spazio a un’essenzialità eclettica, a un’alchimia di materie, a una sorpresa continua di scelte. A partire da quelle che determinano il colore. Un rosso denso e solido rende uniche le giacche da portare sulla camicia aperta e sul jeans azzurro stinto, quasi grigio, come le acque di un lago di montagna. Rosso, azzurro e testa di moro si sommano nei blouson in cuoio, piccoli e sostenuti come i giustacuore degli spadaccini o le giubbe dei cavallerizzi. Abbinati al pantalone da equitazione, con tanto di toppe e rinforzi, anch’esso vivace e multicolore, in un richiamo immaginario alle gualdrappe dei cavalli delle giostre medioevali.

Nella sua corposità invernale, il marrone rivela sfumature inaspettate. E’ brinato e marezzato, polveroso oppure lucente, si avvicina al piombo, all’antracite, al grigio roccia. Proprio per questa sua versatilità, l’ho utilizzato per definire materiali tra loro diversissimi: velluti lavati e rilavati, loden, feltri ultra-pressati, lane cotte che costruiscono completi e paltò sfoderati. Negli abiti più classici e urbani – portati però sulla camicia senza cravatta – il marrone è acceso da gessature e check color rubino.

Anche per il nero ho cercato connotazioni inusuali. E’ un po’ stinto e opaco nelle textures rubate agli indumenti da lavoro. E’ satinato nel nylon, che, solcato e rinforzato da elementi in gomma e in metallo, inventa giubbotti e parka simili alle corazze di potenti cyber-draghi. Regalano invece una immediata sensazione di pacatezza e di ricchezza i toni naturali accostati nei tartan di mohair, che ho usato per capi soffici e caldissimi come le coperte con cui proteggersi dal gelo durante le escursioni in slitta…

Assonanze magiche e speciali guidano anche la scelta di pelli e pellicce. Ho voluto interni di visone bianco per riscaldare i blouson e i cappotti nero totale, fodere di castoro dorato per i cappotti tartan, colletti di tasso duttile come un tessuto perché lavorato a telaio per i giacconi color marrone. Ho privilegiato le pelli di squalo, di rospo, di elefante, di chiguire: squamate, rugose, robuste, conciate al naturale. Spesso opposte tra loro, come nelle scarpe, solide e massicce, con tomaia, punta e fibbia fatte in pellami diversi.

Per la sera, mi è sembrato intrigante giocare con le opposizioni: il neo-tuxedo – con il suo rigore assoluto – e la camicia ricamata – che non può non esserci – ma anche incredibili giacche “masquerade”, fatte di mille tessuti differenti: colorati, damascati, ricamati, giuntati gli uni agli altri in verticale da larghe fettucce in velluto cangiante. Un caleidoscopio, prorompente e aggraziato, riequilibrato dalla camicia candida, oppure dal dolcevita e dal pantalone neri. Giacche che paiono esemplari d’epoca, autentici pezzi unici, pensati per un dandy senza tempo, romantico e spregiudicato. Ardimentoso e puro come Ivanhoe. Ribelle e temerario come il Barone Von der Trenk, che osò sfidare Federico il Grande di Prussia. Scapestrato e irriverente come il Tom Jones di Henry Fielding…”

Gianfranco Ferré

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Collezione Prêt-à-porter

“Tutta la collezione dà voce a un desiderio di semplificare, di arrivare alla radice di ciò che è necessario, elementare. E insieme risponde a un desiderio di luce, di solarità che percorre il formulario conservativo del vestire maschile. Con forme vicine al corpo e dimensioni mai eccessive, colori tenui e misurati che si aggiungono alla severità del nero.

Nell’interpretare gli elementi tipici del guardaroba da uomo, ho concesso spazio a nicchie di pacatezza e naturalezza. Così, ho eliminato volutamente dal militare ogni enfasi army, preferendo esprimermi con tocchi calibrati: camicia kaki sul pantalone di bisso, pantalone extawide con il blazer di lino nei toni dell’indaco smerigliato. Oppure il blu denim per i pantaloni e qualche camicia, stupefacente perché in tussah selvaggio sdrucito e macchiato.

Segnando ogni passo con l’impronta della qualità e del lusso, ho voluto rileggere la durezza e l’energia del giubbotto da motociclista: vissuto, invecchiato, chiazzato di fango, ma preziosissimo perché realizzato in anaconda, coccodrillo, nappa, virati a sorpresa nei toni soffici del rosa, beige, cammello, grigio. Allo stesso modo, ho stemperato la rude praticità della giacca attrezzata da pilota d’auto con la seta paracadute doppiata in jersey, con la nappa ultralight accoppiata alla viscosa e alla seta. E per liberarla dalla logica della stagionalità, ho infilato la giacca di cachemire sopra la semplice T-shirt.

Ma ho anche sentito e sottolineato la volontà – meglio sarebbe dire la necessità – di una fuga colorata, da Manhattan a Hermosillo: con la camicia candida di lino tropical che sarebbe piaciuta ad Edward Weston, solcata e decorata da mille cuciture grafiche. Con il pigiama dalla giacca a guru nei colori della Sierra Madre su cui, con noncuranza, si gettano vestaglie e caftani messicani (“chapan”) a fantasie caleidoscopiche che paiono rubate ai murales di Diego Rivera.

Nel gioco tra ordine e disordine, mi sono mosso per incisi e contrappunti. All’assolutismo del pullover nero a collo alto ho reagito specularmente con la leziosità della camicia a bande di lino e organza ricamate. Al perbenismo del completo con il gilet di seta a microchecks bianchi e neri ho opposto l’eccentricità dello spolverino nelle sfumature del mastice rosato sopra l’abito negli stessi toni abbinato alla camicia nera, oppure la nonchalance con cui si porta il vestito di lino rosa. Alla pratica spontaneità delle scarpe ginniche ho accostato tinte e materie raffinate. Nella logica dei rimandi e delle allusioni, il polacchino da globe trotter, che sembra strapazzato dall’uso e dall’avventura, rivela un modo di essere, un modo elegante e appassionato di partecipare alla vita…”.

Gianfranco Ferré

ua2001pe

Collezione Prêt-à-porter

“Come sempre, quando comincio a studiare la collezione mi confronto con un’esigenza: dare una ragione sempre più forte alle scelte del design e focalizzare il valore del prodotto, soprattutto nella dimensione dell’uomo dove si colgono movimenti e cambiamenti importanti. A partire da un modo nuovo di essere e di porsi agli altri che tiene conto di una raggiunta consapevolezza del corpo non solo come dato naturale ma anche come certezza mentale e come scelta culturale. Da qui nasce un desiderio sottile di unicità e individualità. Di trasgressione intesa come rilettura fuori da ogni standard di ciò che è trascorso e normale, che ha un senso e una prospettiva d’uso ben precisi. Un desiderio che è anche snobismo e narcisismo, espressioni che appartengono profondamente all’uomo e che, a parer mio, si traducono ora in un abbigliamento che ha superato i vincoli della stagionalità per rispondere al bisogno basilare di proteggere dal caldo o dal freddo, ai comportamenti mutati, a una ricerca sempre più accentuata di leggerezza…”

Gianfranco Ferré

Impressioni di un viaggio intorno a un guardaroba. Note, appunti….

La corposità e la leggerezza dello spolverino estivo in tweed di lino, da portare con il pantalone bianco e con quello sdrucito che può essere di due stagioni fa. Dei vestiti grigi extralight: duecento grammi di peso, quasi un foulard, nervosi e scattanti, sostenuti da interni in pelo di cammello invece delle solite spalline La sensualità della giacca più accostata al corpo, con le spalle arrotondate. Di uno city sportswear nei tessuti a disegni drapperia o in struzzo doppiati in finissima nappa – La nuova in-consistenza delle camicie di bisso candide e impalpabili, quasi trasparenti, dei lini areati, degli Oxford dilatati e alleggeriti da mescolare alle grisaglie – La piacevolezza del cardigan di lino e cachemire da portare sulla camicia, della giacca da lavoro saggiamente abbinata a camicia e cravatta, di quella sportiva e attrezzata ma finita a mano, del pantalone molle quasi fosse usato – La presenza determinante della camicia bianca, di quella rigata “a zone”, di quella in tela grezza ricamata – Gli eccessi delle vestaglie da boxeur anni ’20, foderate di spugna, colorate e decorate, o del pitone e dell’anaconda in toni virili e squillanti – I segni di una fuga verso paesi lontani, verso l’Oriente: le giacche di organza doppia quasi senza colletto, oppure da mandarino, ricamate e indossate sui pantaloni blu a sostituire lo spencer. Sempre blu, in triplo satin, il pantalone da portare invece a torso nudo e con la cintura di corda. Il jeans in seta dalla larghezza rubata al chimono – La solidità delle scarpe studiate per dare elasticità al passo e derivate da una ricerca sulle calzature giapponesi, con le dita segnate e la suola asimmetrica – La raffinatezza straordinaria degli accessori, in vitello lucidissimo doppiato con il cuoio grosso – Il dandismo estremo di scarpe, pantofole, cinture in galuchat o in velluto…

… una ricerca personale, istintiva, per costruire, pezzo dopo pezzo, una silhouette non precostituita.

ua2001ai

Collezione Prêt-à-porter

“Le uniformi sono lo sportswear del ventesimo secolo”.

Diana Vreeland

“Stiamo anche molto bene con la nostra uniforme e questo ci separa dalla disgrazia di quella gente che va in giro con i propri vestiti”.

Robert Walser, “Jakob von Gunten”

“Mi sono sempre piaciuti gli uomini in divisa e a te sta che è un incanto”.

Mae West

“Rappel à l’ordre: bisogno profondo, istintivo di regola, di disciplina. Di creare una propria uniforme sentendo fortissimi il richiamo e la memoria della divisa. Essenziale e ricercata, austera e sontuosa, chiamata per vocazione a esprimere potenza e vigore anche fisico. Divise imperiali, divise formali: Federico il Grande e l’Armata Rossa, Stalin e i Dragoni della regina Vittoria. Questo desiderio di tradizione mi ha portato a puntualizzare forma e costruzione della giacca intesa in chiave sportiva, connotata da tagli incisivi e da nuove pinces inclinate sulle spalle e sul collo, che imprimono carenature più marcate. Un tocco impeccabile, che ho voluto mediare sottolineando l’approccio attuale al vestire maschile, mai programmato, mai precostituito, sempre fortemente individuale. Spezzando la severità con la ribellione di certi accostamenti, come lo smoking con il parka lucente a stampa mimetica, foderato di pelliccia.

Ho individuato, per accentuare la virilità e la serietà dei capi, una gamma precisa e raffinata di tessuti d’alta qualità e di colori maschili. Miscele dense e classiche di verdi foresta, grigi, blu, ma anche toni d’autunno potenti e aranciati, cammelli chiari e pastosi, il nero, burgundy e blu dei cappotti da sera lunghi e corti, scanditi da camicie, candide oppure colorate in un effetto tono su tono. Materie che conferiscono prestanza anche ai capi meno formali: cover garzato all’interno, alpache pressate, flanella di cachemire. Perfino astrakan selvaggio per i cappotti a vestaglia.

Nella sartorialità rigorosa ho trovato logiche e risorse che danno un senso straordinario allo stile. Come nei capi doppiati in pelliccia, utilizzando visoni d’epoca, rasati in modo inconsueto per gli interni caldi e mascolini. Nel piccolo cappotto di cover color pietra, un po’ gendarme, un po’ dandy, perfetto perché asciugato, stilizzato, alleggerito di ogni particolare superfluo. Nella marsina da cadetto ravvicinata al corpo e percorsa da una rete fittissima di impunture da interno, che diventano visibili e decorative.

In una ricca, sontuosa definizione dei dettagli ho concentrato fantasia, passione alchemica, gusto per i viaggi incantati. Rimescolando latitudini, sovvertendo climi, inventando una virtuale, magica fauna artica. Per il giubbotto da aviatore, opossum australiano schiarito che ricorda la volpe dell’Ontario; anaconda bianco e grigio, giuntato e grattato fino a scolorirsi nei toni del ghiaccio e della pietra: zampe di struzzo assemblate a patchwork che richiamano le squame dei pesci mentre guizzano nelle gelide acque del mare di Barents; coccodrillo smerigliato e spazzolato perché sia prodigiosamente morbido. Con un tocco snob, la cravatta diventa immacolata come la camicia, le scarpe uniscono il velluto alla gomma, le cinture il velluto colorato al cuoio”.

Gianfranco Ferré

ua2000ai

Collezione Prêt-à-porter

“Da bambino, tra fantasia e progettazione, ho sempre associato il concetto di futuro a un’immagine estrema e possente, con caschi, scarpe pesanti, tute che cancellano il corpo…

Di quelle visioni lontane, depurate e filtrate, mi è rimasta la convinzione che il futuro può fornire oggetti che salvaguardano e proteggono, ma che sono anche umani, plasmati cioè secondo la cultura del corpo e studiati per renderlo più potente e insieme più bello. Coscientemente e volutamente, l’uomo per cui nascono questi capi da anni passa sempre più tempo a coltivare il proprio corpo ed è capace di piacersi. Dunque scegli vestiti veri: per l’eccellenza, l’impianto sartoriale, la duttilità con cui si adattano a forma e movimento. E li attrezza per le proprie esigenze – spostarsi veloce, sfrecciare nel traffico, vivere nella città – con supporti anatomici che si tolgono con un colpo di velcro: paratorace, ginocchiere, copri braccia. Strumenti che carenano e irrobustiscono abiti che un tempo sarebbero stati definiti formali, ma che adesso sono soltanto la “pelle”, la divisa maschile. Sempre in tessuti di altissima qualità e comfort, perché a volte di stretch, a volte di crêpe.

Per comodità o per piacere, l’uomo può sostituire la camicia con un pullover a collo alto, che rende la figura ancora più compatta, meno didascalica. Con la stessa disinvoltura con cui s’infila l’abito, può decidere per la giacca di doppio nylon imbottito, con tasche che – volendo – si staccano e diventano guanti. Completandola con la maglia di lana termica e i pantaloni dal taglio anatomico. Secondo un proprio codice di libertà e di naturalezza, si copre in maniera intenzionale, con tessuti che paiono maglia e velluto di cashmere, duttile e aderente. Tra lo sportivo e il raffinato non esistono più confini. Così, il cappotto di mongolia a pelo rasato, cammello, va sopra il pullover come sopra il vestito. Il paltò di vicuña si associa al jeans, mentre la giacca stretta, che sembra quasi un cappotto austro-ungarico, si amalgama con il nuovo jeans, di lana doppia, molle e morbida.

Tutto appare sciolto, ma con un senso di educazione nel proporsi e nel vestire. Un equilibrio anche eccentrico, suggerito da una cintura, un pullover di velluto, una scarpa di velluto con la suola di gomma. Un’enfasi che non rischia mai di diventare ostentazione, neppure quando inventa interni in pelliccia autentica, sontuosa, fantasiosa, virile. I colori sono civili, urbani: blu mastice scuro, nero che diventa quasi verde, il color vicuña molto caldo. Toni decisamente profondi, sottolineati dal tocco – che appartiene a una mente amante dell’ordine – della camicia bianca. Con un intento preciso di piacersi, mai cedendo al disordine della casualità…”

Gianfranco Ferré